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Diario Minimo Del Kite (ovvero come farsi tentare dal lato oscuro) Stampa E-mail
Scritto da Paolo Maggienga   
lunedì 06 settembre 2010

DIARIOMINIMODELKITE (OVVERO COME FARSI TENTARE DAL LATO OSCURO)

 

 

 

 

Pochi giorni or sono, una delle principali reti televisive italiane ha concluso la trasmissione della felicissima saga di Star Wars. Mai pellicola fu più indicata a rappresentare il difficile cammino del windsurfer che, colto da insana follia, decide di farsi tentare dal lato oscuro della forza e di fare un corso di… ehm… eh già… dai non fate quelle facce, tutti sbagliano una volta nella vita… Il teatro dell’orrendo misfatto è la spiaggia di Cabarete, a nord della Repubblica Dominicana. I traditori io e Ugo, mio amico fraterno e compagno di innumerevoli avventure surfistiche. L’antefatto è una perdurante carenza di vento sostenuto. Belle onde, mare splendido, acqua caldissima ma nodi pochini: 12, 15, 20 quando fa giornata. E poi tutti quei kite… che planano come i pazzi mentre noi si soffre con la seienove (si scrive così, fa più effetto) o la setteemmezzo. Tutti belli colorati, saltano, girano, surfano, una meraviglia per gli occhi. Il windsurfista resiste, tiene duro, serra la mascella. Ma la volontà comincia a cedere e un paio di giorni di cippa cosmica fanno capitolare il (fino a ieri) fiero esponente della corrente anti-kite. E’ finita, la morte comincia dagli occhi. Lo vedi con che sguardo osservi quel kite? Gli giri intorno, guardi un po’ come sono attaccati i cavi, timidamente fai qualche domanda al proprietario. Poi ti vergogni come un ladro e ritrai la mano che ha scagliato il sasso, la coscienza urla disperata.

 

Il giorno dopo però ci risiamo: l’amico Alessandro, kiter conosciuto in loco, sciorina con maestria le innumerevoli blandizie dell’orribile arnese. Dieci nodi, il mare è piatto, nulla da fare. Dai una mano all’amico che gonfia quell’essere informe: esce da una borsa che sembra un sacco della pattumiera e in tre minuti si trasforma in un mostro: ingombrante, minaccioso e deciso a farti del male. Non è come il windsurf, che ti guarda bonario con la sua pruetta stondata, la vela a misura d’uomo, erede di quelle stesse vele che da migliaia di anni solcano gli oceani: l’attrezzo malefico sembra uscito da un cartoon giapponese, è grosso quattro volte un cristiano e ti osserva con aria beffarda, come dire “alzami moscerino se hai il coraggio, sei nulla di fronte alla mia potenza”. Il kite si solleva con facilità, o almeno così sembra. In mano ad Alessandro è come un cagnolino ammaestrato, lo precede tranquillo nel cielo mentre con passo sicuro il nostro amico entra in acqua. Un movimento rapido e sta già planando. Torniamo sconsolati sulle sdraio. Brutto è brutto, però…

 

Nell’ufficio di Franz, il titolare del centro surf (e kite naturalmente), la trattativa è breve. Si tratta in fondo di firmare un armistizio onorevole, la guerra l’abbiamo già persa. “5 lezioni, il corso base, costa tot dollari, venite domani alle 12 per il corso a terra”. Neanche tanto, in Italia costa di più. Io e Ugo annuiamo silenziosamente, ognuno ha la sua Waterloo. Ventiquattro ore dopo siamo sulla spiaggia bardati come i Ragni di Lecco (celebre associazione di rocciatori lombardi): casco, giubbotto e sguardo perso nel vuoto, ascoltiamo attenti le istruzioni di Juan, il nostro istruttore. Mentalmente, faccio il conto di quante probabilità ho di non capire qualcosa di fondamentale, visto che parla spagnolo, poi decido di lasciar stare, in alcuni casi l’ignoranza è fonte di tranquillità. Osserviamo con fifa reverenziale il bestione che abbiamo appeso all’ombelico (a proposito, c’è un arnese che impedisce di sganciarlo dal trapezio se non tramite una cosiddetta emergenza. “Inquietante” è un complimento). Pochi minuti e scopriamo che “corso a terra” è una circumlocuzione onomatopeica: sotto i nostri sguardi inorriditi, quel che resta di un uomo scava col proprio corpo una pista per le biglie nella sabbia. A tirarlo non è la sorella grande di un bambino, come accadeva trent’anni fa sull’adriatico, bensì un kite. Dietro di lui, il cosiddetto istruttore corre urlando “molla la barra”. Ma quando stai tracciando una nuova pista nel deserto di Gobi faccia avanti non molli (quasi) niente, la paura fa novanta. Sia io che Ugo facciamo finta che sia un miraggio e torniamo a guardare l’acquilone. Prima o poi toccherà a noi scavare la pista… Su un punto quantomeno non c’è dubbio: anche la vittima stava seguendo il cosiddetto “corso a terra”. Più a terra di così infatti è difficile da immaginare, pur con molta fantasia. Neppure un’oretta di windsurf alla fine della lezione ci cancella dagli occhi le immagini del fattaccio. Torniamo all’hotel con l’aria terrorizzata ma felice di chi l’ha fatta franca dopo l’assalto alla collina. La notte però sta calando sui Caraibi e un tramonto mozzafiato prepara l’alba del nuovo giorno, quello del body drag.

 

“Drag” significa testualmente in inglese “trascinare”, ma anche “arare, dragare, erpicare”. E’ una collezione privata di significati azzeccatissimi se applicati al secondo giorno di kite. A Cabarete però c’è la zavorra, non avrete nulla da temere. La zavorra è un ragazzino suicida, abilissimo nel manovrare il kite, che ti si aggrappa al retro del trapezio mentre manovrando maldestramente l’aquilone fai da esca viva per gli squali della zona, facendoti trascinare a destra e a manca, privo di alcun controllo. Non so se la perizia del mestiere faccia sì che la zavorra inghiotta meno acqua di quanta ne inghiotta la vittima appesa al kite. Per entrambi, comunque, il ritorno in spiaggia è un bel momento. Esci stremato come un naufrago approdato sull’isola deserta, la zavorra prende il controllo del kite e lo riporta sopra vento camminando e saltando come un grillo. Apparentemente il bestione odia il turista ma è mansueto con le zavorre. Infatti col ragazzino è docile ed educato, col suicida che fa il corso di kite è un sadico di prima categoria. Il secondo giro di body drag è una piacevole sorpresa: non dico che si riesca ad andare dove si vuole ma la situazione è decisamente migliorata: invece di avanzare a strattoni e facciate sull’acqua si procede a strattoni e facciate sull’acqua, molto meglio di prima. A terra ho sentito la zavorra che impugnava saldamente il mio trapezio: ora che sono un bel pezzo al largo però, mi sento leggero. Giro la testa e mi accorgo con orrore che il ragazzino non c’è più. Penso “cazzo, l’ho perso!!”. In un attimo di lucidità riesco ad avanzare a strattoni e facciate sull’acqua in direzione della riva: con sollievo vedo che la zavorra è a terra sana e salva. Se la ride compiaciuto, aspettando il mio cadavere sulla battigia. Non deve attendere molto ovviamente, si ripiglia l’aquilone saltellando allegramente qua e là per la spiaggia mentre lo seguo stremato a testa bassa. Altro giro altra corsa, per fortuna la lezione dura un’ora e mezza e ad un certo punto Juan, il nostro mitico istruttore, dice stop. “Domani si prova con la tavola ragazzi” ci dice soddisfattissimo e sorridente. Non abbiamo il coraggio di replicare, ce la sta mettendo tutta il ragazzo per farci imparare.

 

Inutile dire che il momento del decollo è sempre un’emozione. D’accordo, ci si è bevuti mezzo oceano, si è sbattuto il faccione in ogni dove sulle calde acque del caribe, ci si è sentiti degli inetti totali mentre un ragazzino di venti chili giocherellava tranquillo con lo stesso animale che aveva appena finito di bistrattarci senza pietà. Ma il gran momento è finalmente giunto: infilo i piedi nelle straps più facilmente di quel che penso, seguo alla lettera le istruzioni di Juan e… miracolo! Sono in piedi, sto andando. Solo un principiante però ignora che il sorrisone di circostanza è deleterio: sbattendo infatti dopo pochi secondi il faccione, sempre quello, sull’acqua, la postura facciale meglio conosciuta come “sorriso a trentasei denti” (non so se sono trentasei, non era comunque il momento di mettersi a contarli e poi uno del giudizio me l’han levato dieci anni fa) amplifica l’effetto di penetrazione dell’acqua salata nel gargarozzo. Risultato dell’operazione: sei secondi di kite e circa due litri di mare ingurgitati. Juan sorride soddisfatto. “Complimenti, hai fatto i tuoi primi quattro metri col kite!”. “Grazie Juan”. Mentalmente aggiungo “per i due litri d’acqua lascia stare, offro io”.

 

Il quarto giorno di lezione è un crescendo di salite e discese, peggio del tour de France e il quinto giorno arriva insieme alla fine delle vacanze. Juan pronuncia l’ultimo stop. “Bravi, siete andati proprio bene”. “Grazie Juan” (gli dicevamo sempre grazie, è davvero un caro ragazzo). In hotel mia moglie mi accoglie sorridente: “Allora? Com’è andata?” “Benino grazie, sono riuscito ad andare e a tornare”. “Hai saltato?” “Certo che ho saltato amore. Fuori dalle straps, faccia avanti, mentre l’aquilone con posa plastica eseguiva una traiettoria perfetta dall’azzurro del cielo al verde dell’acqua. Non dimenticherò mai il fermo immagine della scena: il kite a un metro dall’impatto, i cavi tesi, la figura di un uomo completamente disteso nell’aria, come un tuffatore professionista nell’istante di massimo allungamento, un cavo elastico nero anch’esso completamente teso e per finire una tavola, piccola ma affilata”. “E poi?” “E poi il kite si è schiantato, io sono finito faccia avanti in acqua e la tavola mi è arrivata sul groppone. Avevo il giubbotto però, non mi fa tanto male”. Il lato oscuro della forza è ancora lì, dietro l’angolo, che mi aspetta al varco. D’altra parte non è difficile per uno come me calarsi nel personaggio: brutto son brutto peggio di un Sith, non ho neppure bisogno del truccatore. Tornato nel mio home spot di Gera guardo i mostri stesi in spiaggia con un po’ di nostalgia, un po’ di lussuria, e un po’ di timore. Alla fine il diavolo non è mai brutto come lo si dipinge. E se qualcuno mi ha visto salire su un gommone di kiters… beh, mi conceda una scappatella dopo vent’anni di fedeltà ad un solo sport. Alla fine è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo…

 

 

P.S.

 

Un grazie di cuore a Juan, il nostro istruttore, che, scherzi a parte, con grande simpatia, professionalità e pazienza ci ha fatto divertire e scoprire il piacere di volare sull'acqua!

 

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